Lo scenario descritto dal rapporto ISTAT sulla povertà in Italia nel 2015, pubblicato lo scorso 14 luglio, racconta di un’Italia sempre più povera: sono un milione e 582mila le famiglie e 4 milioni e 598mila le persone che vivono in condizioni di povertà assoluta.
Analizzando più nel dettaglio quello che è stato definito il dato più alto dal 2005, emerge chiaramente che l’impatto della povertà assoluta non è lo stesso su tutta la popolazione coinvolta ma dipende da diversi fattori, quali la zona geografica di appartenenza, il numero di persone del nucleo familiare e il titolo di studio.
Il fenomeno, ad esempio, è più diffuso al Sud, dove sono 744mila le famiglie in stato di povertà assoluta, e nei nuclei familiari con più di cinque componenti.
Cresce inoltre l’incidenza della povertà assoluta tra le famiglie con persona di riferimento occupata, i cosiddetti working poor, categoria sociale nata nel nuovo millennio che dimostra come il problema su cui interrogarsi non sia soltanto legato alla scarsa quantità di lavoro disponibile, ma anche al deterioramento delle condizioni lavorative.
Anche nella nostra Città, nel corso dell’anno 2015, sono cresciute vertiginosamente le segnalazioni giunte al centro d’ascolto della Casa di Accoglienza “S. Maria Goretti” da parte di famiglie andriesi in difficoltà.
Le famiglie che hanno usufruito dei diversi servizi hanno chiesto sostegno morale e materiale che si concretizza nel sacchetto viveri per adulti e neonati, distribuzione indumenti, pasto caldo a domicilio quotidiano, aiuti economici, ricerca lavorativa, consulenza legale, assistenza sanitaria, orientamento e accompagnamento presso i vari servizi territoriali.
In linea con i dati nazionali, le situazioni più critiche riguardano oltre che gli anziani, coloro che percepiscono la cosiddetta pensione sociale, anche le famiglie monoreddito con più figli a carico, operai edili, artigiani ed in ultimo a queste categorie si aggiungono quella dei piccoli-medi imprenditori e dei liberi professionisti con piccoli studi.
Nel 2015 si sono rivolti mensilmente a Casa Accoglienza circa 840 cittadini, di cui 720 residenti e 120 migranti, e sono stati erogati circa 24.000 pasti al mese, di cui 18.000 pasti caldi a domicilio solo per residenti e famiglie.
Per comprendere la crescita vertiginosa del fenomeno, basti pensare che nell’anno 2010 sono stati erogati 114.127 pasti, mentre nel 2015 lo stesso dato si è quasi triplicato, arrivando a raggiungere 311.688 pasti annui; a questi si aggiungano poi gli oltre 20.000 sacchetti viveri, contenenti beni di prima necessità, distribuiti nel 2015 solo ai residenti, a fronte dei 7.000 del 2010.
CENTRO DI ASCOLTO E SERVIZIO ACCOGLIENZA MIGRANTI
2010 | 2011 | 2012 | 2013 | 2014 | 2015 | |
Migranti | 1776 | 2345 | 2331 | 1.631 | 1.542 | 1.415 |
Italiani | 2.220 | 3.121 | 4.782 | 6.282 | 7.554 | 8.689 |
TOTALE | 3.996 | 5.466 | 7.113 | 7.913 | 9.096 | 10.104 |
MENSA DELLA CARITÀ E PASTI CALDI A DOMICILIO
2010 | 2011 | 2012 | 2013 | 2014 | 2015 | |
Colazione per migrati e residenti |
14.735 | 22.396 | 28.244 | – | – | – |
Pranzo per residenti | 2.106 | 2.654 | 3.011 | 3.381 | 3.876 | 4.656 |
Pasto Caldo a “domicilio” solo per i residenti e famiglie |
60.942 | 88.475 | 116.417 | 158.882 | 182.724 | 219.276 |
Cena per migrati e residenti |
36.344 | 53.594 | 69.746 | 71.239 | 78.360 | 87.756 |
TOTALE | 114.127 | 167.119 | 217.418 | 233.502 | 264.960 | 311.688 |
SERVIZIO SACCHETTI VIVERI
2010 | 2011 | 2012 | 2013 | 2014 | 2015 | |
Adulti | 7.164 | 10.588 | 10.961 | 14.798 | 17.016 | 20.424 |
Neonati | 1.164 | 1.455 | 1.748 | 2.360 | 2.700 | 3.240 |
Una situazione che dovrebbe far riflettere soprattutto coloro che negli ultimi anni hanno affrontato superficialmente la questione, cercando il capo espiatorio su cui far ricadere le responsabilità rispetto alle mancate risorse a disposizione utilizzate. Una divisione tra poveri di serie a e di serie b che allontana ulteriormente le persone e danneggia quella catena di solidarietà che oggi risulta essere lo strumento più importante per la nostra comunità cittadina.
Ciò che andrebbe ridiscusso invece, per tentare di fermare l’aumento dei processi di impoverimento che stanno travolgendo quote sempre più ampie di popolazione, sono le misure di contrasto alla povertà che attualmente vengono ancora disposte dalle varie istituzioni. Parliamo di soldi elargiti singolarmente alle varie categorie esclusivamente sulla base delle differenze di reddito, ritenuto il criterio principale per la costruzione stessa degli indici di misurazione della povertà, tralasciando gli aspetti relazionali dell’esclusione sociale e la qualità relazionale dei nuovi bisogni. Si tratta di misure inefficaci e temporanee che non portano a soluzioni proattive e durature per il cittadino.
Le “nuove povertà”, infatti, sono un fenomeno complesso e pluridimensionale, in cui convivono diversi livelli di bisogni, da quelli primari, relativi alla disponibilità di beni materiali di sopravvivenza, a quelli secondari, la cui soddisfazione implica la responsabilità delle istituzioni (salute, igiene, assistenza, scuola, etc.); senza dimenticare i bisogni relazionali, relativi alla caduta dei legami comunitari ed alla mancanza di rapporti interpersonali sul piano dell’affettività. Il livello di reddito, quindi, resta sicuramente un importante indice di misurazione della povertà, ma non è più l’unico.
In accordo con questa visione di povertà intesa come l’unione di bisogni sia materiali che trans-materiali, diventa quanto mai importante pensare alla coesione sociale, intesa come ricostruzione dei legami a partire dalle istituzioni economiche, culturali, politiche e civili, come una parte importante di azione al superamento e alla risposta al problema delle nuove povertà. E’ fondamentale continuare a rafforzare con ogni mezzo la rete sociale che tiene assieme le persone, grazie anche al supporto di tutti i soggetti che lavorano nel terzo settore.
Solo attraverso l’aiuto reciproco e l’ascolto attivo si può conoscere bene un problema, comprenderne le sue complesse sfaccettature e saperlo affrontare con gli strumenti opportuni.