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“Il potere come servizio per l’uomo”, intervista a don Geremia

26/09/2014

"La mia poltrona prima o poi può essere occupata da qualcun altro e a quel punto che mi resterà? Semplicemente la mia umanità.
Ciò che rende significativa la nostra vita per gli altri e rende eterno il ricordo di noi, non è accumulare titoli di potere o usare il potere per interessi di parte o peggio ancora personale, ma incidere positivamente nella vita degli uomini, offrendo loro ragioni di vita e di speranza. Coloro che gestiscono il potere (sia politico, sia istituzionale sia religioso) dovrebbero sempre usare il potere come Servizio all’uomo e per l’uomo.
Si è servi e non padroni.”

Don Geremia, da molti anni noto per la sua attività all’interno della Casa Accoglienza “Santa Maria Goretti”, nel centro storico di Andria, dove ogni giorno centinaia e centinaia di diseredati, molto spesso andriesi, trovano un pasto caldo, abiti, farmaci e la possibilità di farsi una doccia.

Ha accettato di concedere un’intervista a Odysseo. Ad un patto, però: saltare subito i convenevoli…

Don Geremia, con quali occhi vedi, anche in virtù della tua missione quotidiana, la città di Andria?

Andria è una grande città dove, a differenza dei piccoli centri, sentimenti come la delusione, la preoccupazione e il disagio sono sentiti maggiormente.
Noto, ahimè, tantissima rassegnazione che è presente non solo nelle fasce più deboli della popolazione, ovvero in coloro che vengono definiti i poveri storici, tutte quelle persone che abbiamo semplicemente assistito, negli anni, senza preoccuparci di avviare, con loro e per loro, percorsi coraggiosi che consentissero agli stessi di conquistare una, seppur limitata, autonomia.
Per i “poveri storici” non c’è più nulla da fare, in quanto, e aggiungo purtroppo, l’assistenzialismo, costante, garantito loro dallo Stato, ma anche dalla Chiesa, non ha sortito gli effetti sperati, perché queste persone risultano essere prive di strumenti e soprattutto di stimoli che consentano loro di raggiungere un briciolo di indipendenza.

Perché parli di “poveri storici”: ce ne sono di nuovi?

Sì! C’è un’altra categoria di poveri: i nuovi poveri, i figli della crisi economica in atto.
Si tratta di persone che fino a poco tempo fa conducevano un’esistenza dignitosa; oggi invece si ritrovano, improvvisamente, ad aver perso tutto mantenendo, però, un forte grado di dignità.
Queste persone vengono emarginate, o meglio si autoemarginano, perché la vergogna, l’imbarazzo predominano in loro.
Noto l’imbarazzo di queste persone, che la crisi economica ha derubato di ogni cosa, anche della speranza. Vedo il senso di inferiorità che caratterizza i loro comportamenti nel confronto con i volontari di Casa Accoglienza. Questo senso di inferiorità purtroppo spinge i nuovi poveri a fruire in maniera limitata dei servizi che vengono loro offerti dal settore privato, pubblico e dalle realtà ecclesiali.

 

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